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Ipertensione arteriosa: le nuove sfide per la nefrologia.

Il nefrologo sempre più in prima linea nella gestione della pressione alta e delle sue complicanze.

Image by Gerald Oswald from Pixabay
Image by Gerald Oswald from Pixabay
Nel corso della sua attività clinica il nefrologo si confronta quotidianamente con l’ipertensione arteriosa nei suoi vari aspetti: diagnostici, terapeutici ed epidemiologici.
 
La relazione tra malattia renale ed ipertensione arteriosa è bidirezionale: in più dell'80% dei casi l’ipertensione arteriosa complica la malattia renale, infatti il danno renale può subentrare nel corso naturale dell’ipertensione arteriosa non adeguatamente trattata, d'altro canto il rene stesso può essere causa di incremento dei livelli di pressione arteriosa.

Il controllo pressorio e l’appropriata scelta della classe farmacologica sono alla base del trattamento ambulatoriale della malattia renale cronica,sin dai primi stadi di malattia e soprattutto nei pazienti che presentano un più elevato rischio di evoluzione uremica come quelli affetti da diabete, obesità e malattia aterosclerotica.  Considerazione deve essere anche posta sui recenti progressi nella terapia dell’ipertensione resistente attraverso le procedure di denervazione renale.
 
Discorso a parte merita l'importanza di una diagnostica nefrologica sistematica volta ad individuare quei casi di ipertensione nefrovascolare dove la causa dell'ipertensione è il rene: anche se la malattia nefrovascolare rappresenta meno del 2% di tutti i casi di ipertensione arteriosa risulta doveroso escluderla, attraverso una semplice ecografia con Doppler, essendo una forma curabile. Altra causa di ipertensione renale potrebbe poi essere l'insufficienza renale acuta ove la causa del rialzo pressorio è conseguente alla ritenzione acuta idro-salina.

Per questo ruolo cruciale che i reni svolgono nella regolazione della pressione sanguigna il nefrologo ne è da sempre considerato l’esperto.
 
Negli ultimi anni sono emerse diverse prove e scoperte importanti che hanno portato ad alcuni cambiamenti nella conoscenza e comprensione dell'ipertensione; in particolare in un recente editoriale su Kidney News vengono evidenziati i 10 argomenti che stanno avendo grande impatto nella gestione nefrologica di questo diffuso problema:
 
10. Gestione dell'iperkaliemia, quando si utilizzano antipertensivi.
L'uso degli ACE-inibitori e dei sartani, farmaci di prima sceltanella gestione sia della nefropatia che dell'ipertensione -soprattutto nei soggetti con scompenso di cuore-  è spesso sottoutilizzato a causa del rischio di far salire troppo i livelli del potassio nel sangue. L'avvento del Patiromer (VELTASSA®) e del Ciclosilicato di Zirconio (LOKELMA®), nuovi chelanti  ipopotassici finalmente in commercio, consentono di massimizzare l'uso di RAASi. mantenendo in range ottimale il potasso plasmatico.

9. Trials di denervazione renale, a che punto siamo?
Il razionale di questo approccio deriva dal taglio dell'attività simpatica renale. Sebbene le tecnologie di denervazione renale mini-invasiva siano disponibili  da diversi anni, alcuni risultati incoerenti nei primi studi e il basso beneficio percepito rispetto ai potenziali rischi ne hanno a lungo parzialmente limitato l'applicazione. Tuttavia, con l'invecchiamento della popolazione e in assenza di nuove terapie antiipertensive, si sta rilevando utile riconsiderare questi metodi non farmacologici in particolari casi.
 
8. Definizione target pressori nel soggetto anziano, come popolazione generale?
Una migliore comprensione delle sfide specifiche in età avanzata (rischio cadute, rischio renale acuto, ecc.)  è oggi richiesto e un recente studio ha risposto a questa domanda randomizzando una coorte di 8000 ipertesi in un braccio intensivo (da 110 a <130 mmHg) ed un altro braccio standard (da 130 a <150 mmHg). Al follow-up di 1 anno, il trattamento intensivo aveva avuto un minor numero di eventi cardiovascolari mentre sicurezza ed esiti renali non differivano ad eccezione degli episodi ipotensivii, più frequenti nel braccio intensivo.
 
7. “Clicca” sui diuretici tiazidici, soprattutto nei malati di rene.
Negli stadi avanzati di malattia renale l‘uso dei diuretici dell'ansa è stato tradizionalmente preferito ma mai ben studiato. Il recente studio CLICK, dimostrando come i pazienti trattati con Clortalidone migliorino sia il controllo pressorio che l’iperfiltrazione  renale, verosimilmente cambierà la pratica clinca e potrebbe portare a un maggiore uso di tiazidici nel 2022 (facendo sempre attenzione alla gestione elettrolitica!)
 
6. Linee guida e target in continua evoluzione.
 Il 2021 ha visto il rapporto finale dello Trial SPRINT  e l'aggiornamento delle linee guida attraverso la proposta dell'​obiettivo di sistolica inferiore a 120 mm Hg per la maggior parte delle persone, anche con insufficienza renale cronica (vedi tabella).

5. Il ruolo del potassio nella gestione dell’ipertensione
Il potassio è un attore alla ribalta nella gestione del rischio cardiovascolare, in questo senso nel 2021 due studi; il primo sugli effetti benefici di un sostituto del sale che conteneva il 25% di cloruro di potassio e l’altro sul rischio aumentato in relazione ad minore assunzione di potassio nella dieta. Un tema quindi a cui il nefrologo dovrà necessariamente prestare attenzione nel 2022.
 
4. Il quartetto, la pillola magica?.
La sperimentazione clinica multicentrica australiana di una potenziale futura dose di "quadpill" di quattro farmaci, denominata QUARTET, ha dimostrato che una singola pillola contenente una combinazione quadrupla ultra-bassa è molto più efficace rispetto all'approccio tradizionale di iniziare con la monoterapia. La pillola conteneva Irbesartan (37,5 mg), Amlodipina (1,25 mg), Indapamide (0,625 mg) e Bisoprololo (2,5 mg). Chissà se qualcosa di simile è già in cantiere per la nefropatia diabetica?
 
3. Abbattere le disuguaglianze nella gestione dell’ipertesione.
Il COVID-19 ha esacerbato le preesistenti disuguaglianze nella gestione della pressione e delle sue complicanze nel mondo.
L'assistenza sanitaria virtuale e la telemedicina stanno prendendo sempre più piede e ciò potrebbe ampliare il divario nell'accesso alle cure e alla salute tra razza/etnia, ricchezza, geografia e livelli di istruzione: è urgente, pertanto, migliorare l'attuazione degli interventi basati sulla medicina comunità e l'automonitoraggio della pressione sanguigna.
 
2. Rivalutare gli antagonisti dei recettori dei mineralcorticoidi.

Nei casi di ipertensione resistente, l’uso dello Spironolattone, e più recentemente del Finerenone, quando utilizzati in pazienti con insufficienza renale cronica e diabete di tipo 2, ha ridotto i rischi di progressione dell'insufficienza renale. È interessante notare che l'impatto diretto di questi farmaci nel controllo pressorio è stato minimo, suggerendo effetti antifibrotici renali diretti.
 
1. Riconoscere e trattare un aldosteronismo primario.
Solo l'1,6% dei pazienti con ipertensione resistente al trattamento viene studiato in questo senso quando le stime di prevalenza sono vicine all'11%. Una bassa attività della renina plasmatica dovrebbe suggerire una diagnosi di aldosteronismo primario  e, in ogni caso, un antialdosteronico in terapia.  Anche i criteri per la definizione di iperaldosteronismo potrebbero essere da rivedere… è opinione ormai diffusa che questi meccanismo potrebbero avere una dimensione in quello che continuiamo a chiamare "ipertensione essenziale" (senza causa).
 
Per cui sembra che anche negli anni a venire il nefrologo dovrà mantenere il suo fondamentale ruolo nella gestione della pressione alta… e non solo nel  nefropatico!


Dottor Emiliano Staffolani, MD, PhD

Specialista in Nefrologia ed Ipertensione Arteriosa
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