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Potenziale trattamento dell’anemia in arrivo per i pazienti con malattia renale cronica.

Nuovi agenti della famiglia degli Inibitori del "Fattore Inducibile dall’Ipossia" in corso di approvazione negli USA.

Image by Narupon Promvichai from Pixabay
Image by Narupon Promvichai from Pixabay
L'eritropoietina o EPO è un ormone glicoproteico prodotto negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello, che ha come funzione principale la regolazione dell'eritropoiesi (produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo).
 
L’Eritropoietina umana ricombinante (rHuEPO) è stata approvata come farmaco per il trattamento dell’anemia in pazienti affetti da malattie renali, ematologiche, o in chemioterapia, nel 1989 dalla US Food and Drug Administration (FDA). Numerosi studi, e l’esperienza clinica, hanno dimostrato in questi anni che il trattamento dell’anemia uremica con eritropoietina aumenta i livelli di emoglobina, riduce la necessità di trasfusioni, e migliora la qualità della vita del paziente.
 
Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che il raggiungimento di elevati target di ematocrito (> 35% o normo correzione stato anemico) si associa a più elevati tassi di trombosi venosa (e dell’accesso vascolare), di eventi cerebrovascolari, e di eventi cardiovascolari, nonché a precoce necessità dialitica e altro.

In attesa di chiarire se sia la posologia stessa di EPO somministrata (effetto dose-dipendente) piuttosto che il raggiungimento di più elevati livelli emoglobinici (aumento della viscosità ematica) a determinare questi eventi avversi (forse “l’uovo o la gallina?” ndr), gli scienziati sono alla ricerca del “santo Graal” dell’anemia: un farmaco capace di aumentare i livelli di emoglobina circolante evitando tutti gli effetti collaterali delle terapie attuali.
 
Ci sono due principali cause alla base dello sviluppo dell’anemia in corso di malattia renale cronica:
  • Carenza di eritropoietina
  • Carenza di ferro funzionale. 
Un nuovo approccio terapeutico in pazienti anemici con insufficienza renale cronica prevede l'utilizzo di molecolein grado di stimolare la produzione endogena di EPO da parte dei tessuti renali e non renali. Questa strategia, consentendo una più fisiologica (efficace e sub-continua), stimolazione del midollo osseo potrebbe ridurre l’incidenza degli eventi avversi derivanti da una somministrazione farmacologica di eritropoietina esogena.
 
Una classe di farmaci attualmente in fase di sviluppo regola il Fattore Ipossia-Inducibile (HIF) inibendo l’Enzima Prolil-Idrossilasi (PH).  
Nello stato di normalità l'attività di HIF-PH porta alla rapida degradazione di HIF. Durante l'ipossia, l’attività HIF-PH viene al contrario soppressa, e questo determina:
  • Stimolazione della produzione endogena EPO,
  • Aumento dell’espressione del recettore della transferrina,
  • Assorbimento del ferro da parte dei pro eritrociti,
  • Maturazione degli eritrociti (= aumento di emoglobina).
Si è, pertanto, ipotizzato che una adeguata stimolazione dell'HIF da parte di questi agenti possa correggere l’anemia, minimizzando gli effetti indesiderati legati alla terapia con EPO, anche in pazienti con malattia renale all'ultimo stadio.
L'uso di questi agenti, somministrabili semplicemente per via orale, si traduce in un costante aumento dei livelli di emoglobina dose-dipendente, anche riducendo i livelli di epcidina e ferritina e migliorando la capacità ferro legante (o "saturazione della transferrina", vale a dire la quantità di ferro che essa può legare).
Un ragionevole timore, per quanto concerne l'utilizzo a lungo termine di questi farmaci, è il loro potenziale effetto pro cancerogeno.
 
La prima promettente molecola, nella famiglia degli inibitori di HIF-PH è stato FG-2216 (di FibroGen) che, in studi di fase 2a eseguiti nel 2005, è stato efficacemente testato in volontari sani e pazienti emodializzati dimostrandosi in grado di correggere l’anemia anche nei pazienti in dialisi, sia pur in modo meno significativo nei pazienti anefrici, implicando che FG-2216 induceva rilascio di EPO nei reni non funzionanti.
 
Ci sono quattro molecole attualmente sottoposte a studi clinici (fase 2 e 3*) negli Stati Uniti, anche per il trattamento dell'anemia nei pazienti con insufficienza renale cronica.
  • Roxadustat (FG-4592), di FibroGen, Astellas, e AstraZeneca
  • Vadadustat (AKB-6548), di Akebia
  • Daprodustat (GSK-1278863), di GlaxoSmithKline
  • Molidustat (BAY 85-3934), di Bayer Healthcare 
Pur essendo necessari ulteriori studi clinici a lungo termine di conferma questa nuova classe farmacologica di HIF-PH si prospetta come una efficace terapia anti-anemica con ridotti effetti avversi cardiovascolari.
 
 
 
(*) STUDI FASE 3
Nella fase 3 l’obiettivo è confermare, su larga scala, le informazioni ottenute negli studi di fase 2 su sicurezzaefficacia e dosaggio del farmaco e valutarne il rapporto rischio/beneficio attraverso monitoraggio di manifestazione, frequenza e gravità degli effetti indesiderati.
Sono inoltre prese in considerazione possibili interazioni con altri farmaci, le condizioni di somministrazione e le condizioni fisiologiche o cliniche. Uno studio finale peculiare riguarda la qualità della vita dei pazienti con il nuovo trattamento e i costi sanitari e sociali della malattia.
Al termine dello studio di fase 3 sono raccolti tutti i dati derivati dalle valutazioni precliniche e cliniche in un dossier che viene sottoposto all’autorità competente per ottenere la registrazione e l’autorizzazione alla commercializzazione del nuovo farmaco. Le autorità competenti sono la Food and Drug Administration (FDA) per gli Stati Uniti, l’ European Medicines Agency (EMA) per l’Unione Europea e l’ Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per l’Italia.
Normalmente si ricercano almeno due trials in fase III con successo, a dimostrare l’efficacia e la sicurezza del farmaco, per ottenere l’approvazione dalle agenzie regolatrici preposte.
Da statistica si ricava che il 70%-90% dei farmaci che entrano nella sperimentazione di fase 3 sono ritenuti possibili candidati alla richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio.

Gli studi di fase 3 possono essere distinti in:
  • Studi di fase 3a, studi eseguiti prima della presentazione alle autorità competenti del dossier per la autorizzazione alla immissione in commercio;
  • Studi di fase 3b, studi eseguiti dalla presentazione del dossier al conseguimento dell’autorizzazione.
Gli studi in fase 3:
  • Sono trial multicentrici randomizzati e controllati. Ai pazienti viene casualmente assegnato il nuovo principio attivo, il farmaco standard o il placebo; sono studi in singolo cieco o in doppio cieco;
  • Sono effettuati su un grande gruppo di pazienti, 300 – ˃3000;
  • Sono caratterizzati da periodo di monitoraggio che dura da 3-5 anni. La durata della somministrazione del farmaco è invece variabile a seconda degli obiettivi della sperimentazione, di media dura un paio di mesi;
  • Sono i più costosi, duraturi e difficili per quanto concerne progettazione e decorso.
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