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1° dicembre – Giornata Mondiale per la Lotta all’AIDS

Oggi si vive più a lungo con l’HIV. Ma vivere più a lungo significa proteggere anche i reni

Foto di Amal Thushara Gunawardhana Manage da Pixabay
Foto di Amal Thushara Gunawardhana Manage da Pixabay
Ogni anno, il 1° dicembre, la Giornata Mondiale per la Lotta all’AIDS ci invita a guardare oltre i numeri dell’infezione da HIV. È un momento per ripercorrere la storia del virus — dalle paure degli anni Ottanta ai progressi straordinari della medicina — ma anche un’occasione per guardare avanti.

Grazie alle terapie antiretrovirali, infatti, oggi chi vive con l’HIV ha un’aspettativa e una qualità di vita molto vicine a quelle della popolazione generale. Ma proprio questa straordinaria conquista porta con sé una nuova sfida: la gestione delle patologie croniche che emergono con l’invecchiamento. Tra queste, una delle più rilevanti — e allo stesso tempo meno raccontate — riguarda il rene.

Un recente studio di Sherley M. Mejia, Clara J. Fischman e Meghan E. Sise mette in luce come la malattia renale stia diventando un tema centrale nella salute delle persone con HIV, sebbene spesso sottovalutato dal “grande pubblico”.

Solitamente il virus è ancora associato alle sue complicanze storiche, come la HIVAN (HIV-Associated Nephropathy), una forma aggressiva di nefropatia che negli anni Novanta rappresentava quasi l’unica espressione renale dell’infezione. Tuttavia il lavoro dei tre ricercatori racconta una realtà molto più articolata…

Le patologie renali nelle persone con HIV compongono infatti un vero mosaico clinico. Accanto alla HIVAN, ormai rara grazie alle terapie, si osservano:
  • malattia renale cronica (MRC), ormai la condizione più frequente;
  • danni tubulo-interstiziale (subclinici), che spesso non emergono nei test di routine;
  • tossicità renale legata a specifici farmaci, compresi gli antiretrovirali più datati;
  • nefropatie comuni come ipertensione e diabete, che aumentano con l’avanzare dell'età;
  • fattori genetici, come le varianti del gene APOL1 (più diffuse in persone di origine africana).
Il risultato è un quadro in cui il virus non è più l’unico protagonista, ma parte di un sistema complesso che richiede prevenzione, monitoraggio costante e diagnosi sempre più raffinate.

Un aspetto particolarmente rilevante riguarda la diagnosi precoce del danno renale. Le analisi tradizionali — come creatinina, stima della filtrazione glomerulare (eGFR) e albuminuria/proteinuria — non sempre rilevano i primi segnali di sofferenza renale. Per questo, lo studio sottolinea il potenziale dei biomarcatori urinari, strumenti in grado di identificare alterazioni o danni prima che diventino evidenti nei test di routine.
L’uso di questi biomarcatori consentirebbe di:
  • individuare il danno in fase precoce;
  • intervenire tempestivamente con terapie mirate;
  • personalizzare il monitoraggio in base al rischio specifico di ciascun paziente.
Tra i biomarcatori più studiati nella letteratura su HIV e danno renale troviamo IL‑18 (Interleukin‑18), KIM‑1 (Kidney Injury Molecule‑1), NGAL (Neutrophil Gelatinase‑Associated Lipocalin), α1m (α1‑microglobulina), uEGF (Epidermal Growth Factor urinary) e il classico ACR (albumina/creatinina urinaria). Questi strumenti permettono di cogliere danni tubulo‑interstiziali o glomerulari precoci, migliorando la prevenzione e la gestione della malattia renale cronica.

La gestione renale nelle persone con HIV richiede oggi un approccio ampio e continuativo. Non basta monitorare il virus: è fondamentale valutare regolarmente la funzione renale, la proteinuria e, quando indicato, i biomarcatori urinari, scegliere con attenzione gli antiretrovirali in caso di fragilità renale e considerare le differenze genetiche e l’origine etnica.

Allo stesso tempo, è essenziale controllare i fattori di rischio modificabili, come ipertensione e diabete, e prestare attenzione a coinfezioni e potenziali tossicità farmacologiche. Questo approccio integrato consente di individuare precocemente eventuali alterazioni, intervenire tempestivamente e personalizzare le cure, migliorando la qualità di vita e riducendo le complicanze a lungo termine.

Lo studio sottolinea infine l’importanza di una diagnosi precoce e di un monitoraggio continuo, trasformando l’informazione scientifica in interventi concreti e garantendo che la gestione dell’HIV non si limiti al controllo del virus, ma abbracci la cura completa della persona.

HIV in Italia: i dati più recenti
Per contestualizzare, ecco alcuni dati aggiornati sull’HIV in Italia al 2024:
  • Nuove diagnosi di HIV: 2.379 casi (incidenza 4,0 per 100.000 residenti), con la maggioranza trasmessa sessualmente (46% eterosessuali, 42% MSM).
  • Nuovi casi di AIDS: 450 notificati, l’83,6% in persone che avevano scoperto l’HIV da meno di sei mesi.
  • Popolazione stimata con HIV: circa 140.000 persone.
  • Età media alla diagnosi: 41 anni.
Questi numeri ricordano che, anche in epoca di terapie efficaci, è fondamentale la prevenzione, il test precoce e la gestione integrata della salute, comprese le comorbidità come la malattia renale.

Perché parlarne oggi?
Oggi l’HIV si può gestire come una malattia cronica, ma serve cambiare la narrazione pubblica. La storia non è più solo quella della lotta contro l’AIDS: è la storia di una comunità che vive, invecchia e affronta nuove sfide sanitarie.
Grazie ai nuovi biomarcatori e alle terapie innovative per i reni, è possibile diagnosticare precocemente problemi renali e proteggere la salute complessiva delle persone con HIV.

Il 1° dicembre non è solo memoria. È un impegno a seguire l’evoluzione delle persone, non solo del virus. Per vincere l’HIV oggi non basta combattere il virus: serve prendersi cura della salute completa di chi vive con esso.
 

Per saperne di più

Dottor Emiliano Staffolani, MD, PhD
Specialista in Nefrologia ed Ipertensione Arteriosa
CONTATTI
Tel.: 338 59 96 136
Fax: 06.81151095
Visualizza il documento Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità Collegamnto esterno Giornata Mondiale contro l’AIDS [AIFA]
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