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Epidemia COVID-19 e Malattie renali.

Rischio di contagio e prognosi come nella popolazione generale. Attenzione però ai soggetti emodializzati.

Foto di visuals3Dde da Pixabay
Foto di visuals3Dde da Pixabay
La diffusione dell’infezione da coronavirus, definito dalla World Health Organization come “Severe Acute Respiratory Syndrome CoronaVirus 2” (SARS-CoV-2), ha messo in allarme la popolazione generale; ed  in particolar modo i soggetti affetti da patologie concomitanti.

Questa contagiosa affezione, infatti, pur manifestandosi principalmente come malattia respiratoria acuta con polmonite interstiziale e alveolare, potrebbe colpire più organi come rene, cuore, tratto digestivo, sangue e sistema nervoso.

La maggior parte delle infezioni è lieve, presentando una sintomatologia simil-influenzale. Le presentazioni cliniche comuni di COVID-19 sono febbre (98%), tosse (76%), mialgia (18%) e astenia (18%), con accompagnamento o meno di leucopenia (25%) e linfopenia (63%).

I casi “critici” (16-20%) sono caratterizzati da severa polmonite ed elevati valori di citochine plasmatiche e circa il 30% di questi potrebbe necessitare di trattamenti intensivistici.

Il Prof. Claudio Ronco nell'ultimo numero del Lancet Respir Med. pubblica il lavoro dal titolo emblematico di: ”Coronavirus epidemic: preparing for extracorporeal organ support in intensive care” in cui avverte: “Poiché non è possibile prevedere l'entità dell'epidemia e il conseguente numero di pazienti che richiederanno una gestione intensivistica della terapia, anestesisti e nefrologi devono essere preparati a fornire trattamenti specifici di supporto d'organo e considerare che questo tipo di trattamento potrebbe essere necessario per una grande numero di pazienti”.

Le terapie extracorporee possono essere, in effetti, utili per supportare diversi organi, come polmoni, cuore, reni e fegato, attraverso l'applicazione di dispositivi specifici: Ecmo, Decapnizzatori, CRRT (emofiltrazione ed emodiafiltrazione), Fegato artificiale, Emoperfuzione e Plasmaferesi, per citarne alcuni

L’infezione è stata segnalata in tutte le età, compresi i bambini ma in questi fortunatamente sono rare le gravi complicanze esprimendosi di solito poco più che come un fastidioso raffreddore.

La diagnosi si basa principalmente su fattori epidemiologici (storia di contatto), manifestazioni cliniche ed esami di laboratorio (emocromo, TC toracica ed esame virologico, ecc.).


COINVOLGIMENTO RENALE DELL'INFEZIONE COVID-19 NEL SOGGETTO SANO

Nelle recenti epidemie di SARS (Severe acute respiratory syndrome) e MERS-CoV (Middle East respiratory syndrome-related coronavirus) l’Insufficienza renale acuta (IRA) era stata segnalata nel 5-15% dei casi e si associava ad una peggiore prognosi. I primi rapporti oggi suggeriscono una minore incidenza di IRA in quelli con infezione da COVID-19 (3-9%).

Si registra, tuttavia, una maggiore frequenza di anomalie renali come:
  • microematuria (27%),
  • albuminuria (34%),
  • proteinuria (63%),
  • segni di infiammazione ed edema parenchimale nelle TAC renali (33%),
  • screzio della creatininemia (5%) e della azotemia (14%).
L'esatto meccanismo eziopatologico renale non è chiaro: i meccanismi ipotizzati includono la sepsi attaverso i meccanismi infiammatori (tempesta citochinica) ovvero il danno cellulare diretto determinato dal virus stesso (recentemente isolato dalle urine di un paziente infetto).

In entrambe le precedenti epidemie RNA virale è stato identificato nel tessuto renale e nelle urine suggerendo il rene come potenziale bersaglio, e l'enzima di conversione dell'angiotensina e la di-peptidil peptidasi, entrambi espressi su cellule tubulari renali, sono stati identificati come partner di legame rispettivamente per SARS-CoV e MERS-CoV15.

L'attuale trattamento dell’insufficienza renale acuta in pazienti affetti da COVID-19 comprende, oltre l’isolamento e tutte le misure protettive, la terapia di supporto generale e la terapia sostitutiva del rene (Dialisi intermittente o continua). Al momento non è disponibile una specifica terapia antivirale efficace.

INFEZIONE DI COVID-19 IN PAZIENTI CON MALATTIA RENALE CRONICA

Le donne, i neonati, gli anziani e i pazienti con comorbilità come diabete mellito, ipertensione, malattie cardiovascolari sembrano più suscettibili all'infezione da COVID-19.

L'impatto specifico nei pazienti con Malattia renale cronica non è d'altra parte noto, ad oggi il rischio di contrarre l’infezione da coronavirus è lo stesso della popolazione generale e la prognosi non ha motivo di essere considerata peggiore.

Più preoccupante potrebbe essere la situazione per i pazienti che necessitano di dialisi, in particolare di emodialisi nei Centri dove, se non contrastato con specifici e rigorosi provvedimenti di cautela, aumenterebbe in modo significativo il rischio di trasmissione di infezioni, tra pazienti, operatori, e familiari.
 
In sintesi, COVID-19, una malattia causata da un nuovo coronavirus, è una delle principali minacce umane globali che potrebbe trasformarsi in una pandemia. Il coinvolgimento renale sembra essere frequente in questa infezione e l'IRA è un predittore indipendente di prognosi negativa. L'impatto di questa infezione in quelli con insufficienza renale cronica non è stato studiato e la gestione dei pazienti in dialisi sospettati di essere stati in contatto con COVID-19 deve essere effettuata secondo protocolli rigorosi per ridurre al minimo il rischio per gli altri pazienti e il personale sanitario che si occupa di questi pazienti.
Visualizza il documento The Novel Coronavirus 2019 Epidemic and Kidneys. pdf Collegamnto esterno Protocollo SIN: CORONAVIRUS & DIALISI
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