Non essere acido... i tuoi reni ti ringrazieranno!
Un vecchio rimedio che rallenta la progressione dell’insufficienza renale

Il principale tampone extracellulare è il bicarbonato, che in questi casi viene mobilizzato dal muscolo e dall’osso, risultando quindi “consumato”. Di conseguenza, i suoi livelli possono scendere al di sotto del limite inferiore di 22 mEq/L nel sangue.
Sia le linee guida della National Kidney Foundation/Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (NKF KDOQI) che quelle del Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) raccomandano di correggere l’acidosi quando i livelli sierici di bicarbonato scendono sotto i 22 mEq/L, e di mantenerli nel range di normalità, generalmente compreso tra 22 e 29 mEq/L.
L'acidosi metabolica è associata a molte delle complicanze della malattia renale cronica tra cui:
- malattia ossea secondaria,
- calcificazioni cardiovascolari,
- catabolismo muscolare,
- malnutrizione calorico-proteica,
- squilibrio elettrolitici,
- perdita progressiva della velocità di filtrazione glomerulare (eGFR).
“Abbiamo condotto una revisione sistematica e una meta-analisi di tutti gli studi pubblicati per definire lo stato dell’arte su questo argomento,” afferma il Dottor Sankar Navaneethan, nefrologo al Baylor College of Medicine di Houston, Texas, “confrontando l'effetto della supplementazione orale alcalina o dell'intervento dietetico con nessun trattamento, terapia abituale o placebo”.
In questo lavoro sono stati analizzati i 53 articoli più rilevanti tra oltre 5.000 pubblicati dal 2014 al 2017, identificando 14 studi eleggibili per l’analisi, per un totale di 1.394 pazienti con malattia renale cronica in stadio 3-5 e acidosi metabolica, più o meno compensata.
Il trattamento dell’acidosi metabolica — mediante supplementazione di alcali orali o riduzione dell'assunzione di acidi alimentari — ha prodotto i seguenti effetti:
- Aumento dei livelli sierici di bicarbonato (14 studi, 1.378 pazienti; differenza media: +3,33 mEq/L; IC 95%: 2,37–4,29);
- Rallentamento del declino della funzione renale (13/14 studi, 1.329 pazienti; differenza media: +23,28 ml/min/1,73 m²; IC 95%: 22,14–24,42; P<0,001; evidenza moderata);
- Riduzione del declino annuo del eGFR (9/10 studi, 1.284 pazienti; differenza media: -2,1 ml/min/1,73 m²/anno; IC 95%: -2,8 – -1,4; P<0,001; evidenza moderata);
- Riduzione dell’escrezione urinaria di albumina (2/3 studi, 167 pazienti; differenza media: -52 mg/g; IC 95%: -76 – -27; P<0,001; evidenza molto bassa)
- Riduzione del rischio di progressione verso dialisi o trapianto (4 studi, 434 pazienti; rischio relativo: 0,32; IC 95%: 0,18–0,56; P<0,001; evidenza bassa).
In sintesi, si tratta di un’ulteriore conferma del potenziale beneficio di un vecchio trattamento riscoperto nel rallentare la progressione dell’insufficienza renale.